giovedì 10 novembre 2011

Scie Chimiche: lo stato delle cose

7/11/11
Intervista di Massimo Mazzucco sulle scie chimiche a Radio Ies -

http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=3874



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Negli ultimi anni avevo abbandonato la ricerca sulle scie chimiche, un pò perchè impegnato nella realizzazione dei vari documentari (cancro, marijuana, ecc..), un pò perchè avevo la sensazione che il muro di gomma contro cui ci si andava a scontrare, per cercare di capire il fenomeno delle scie chimiche, fosse comunque imperforabile.

In altre parole mi ero detto: le scie chimiche ci sono, probabilmente ci buttano dentro di tutto, ma nessuno ci dirà mai con chiarezza a cosa servono.

Negli ultimi giorni però, coinvolto anche da Gramiccioli che continuava a stuzzicarmi [1], sono tornato a fare ricerca sull’argomento: ho fatto una specie di “total immersion”, necessariamente breve e incompleta, ma comunque già sconvolgente: mentre posso confermare la assoluta impenetrabilità del muro di gomma di cui parlavo, mi sembra di capire che ormai la faccenda della cosiddetta “modificazione climatica”, con tutti gli annessi e connessi, sia diventata lo scacchiere su cui si gioca la vera partita del potere a livello globale.

Roba da far rimpiangere l’antica “paura atomica” della Guerra Fredda, tanto per capirci.

Cerchiamo di andare per ordine. Innanzitutto, diciamo che sul fatto che le “scie chimiche” esistano nessuno oggi può avere dei dubbi. L’antico dibattito “contrail vs. chemtrail” è superato da anni, ...

... persino un bambino riesce ormai a capire la differenza fra le due cose, e soltanto gli “attivissimi debunkers” di marca cicappina continuano imperterriti a fingere che il fenomeno non esista. (A questo punto, non riesco nemmeno a capire a chi le raccontino queste cose, se non a sè stessi).

Il termine “cloud seeding” (inseminazione delle nuvole) ormai fa parte del linguaggio mainstream, la loro esistenza è confermata da diversi documenti ufficiali, e ci sono dozzine di documentari istituzionali [2] che ne raccontano la storia, ne descrivono le origini e ne giustificano l’esistenza, ovviamente, “per scopi pacifici di interesse collettivo”.

Il vero problema quindi non sta più in quello che ci dicono, ma in quello che nel frattempo ci viene probabilmente nascosto, proprio grazie a questa ammissione.

Ricordiamo infatti che la classica strategia per nascondere un fatto importante è la seguente: finchè si riesce a farlo, lo si nega fingendo che non esista del tutto, e quando le prove della sua esistenza diventano troppo ingombranti, si trova una spiegazione innocua per giustificarlo. A quel punto la gente si tranquillizza, dimenticandosi invece di porsi la domanda più importante: “Ma scusate, se lo scopo è totalmente innocuo, perchè prima negavano il fenomeno?”

Ed è qui che la ricerca sulle scie chimiche si apre rapidamente a ventaglio, mente si configurano molteplici strati di possibili verità e di probabili bugie, che diventano sempre più difficili da districare.

Bisogna ricordare innanzitutto che l’idea di utilizzare gli aerei per lanciare qualche cosa sulla testa della gente è antica quanto l’aviazione stessa. In nostro Gabriele d’Annunzio ne fece buon uso, nel 1915, lanciando sul cielo di Trieste migliaia di volantini con un messaggio irredentista. Ne fecero invece un uso meno edificante i gerarchi fascisti durante la “campagna d’Africa”, quando utilizzarono gli aerei per decimare dall’alto interi villaggi abissini con bombe di gas all’iprite.

Ma anche in tempo di pace le maggiori potenze occidentali non si sono mai poste grossi problemi nello sperimentare – spesso sulla propria popolazione – gli effetti di un eventuale attacco batteriologico. Subìto o portato contro altri, ovviamente.

Basti per tutti l’esempio degli inglesi che – per loro stessa ammissione - negli anni ‘60 “coinvolsero milioni di persone in esperimenti di guerra batteriologica, in cui buona parte dell’Inghilterra fu esposta a batteri disseminati in test segreti”. Tanto, sanno benissimo che è impossibile dimostrare come la eventuale morte di tuo marito, di tua sorella di tua madre sia stata veramene causata da quei batteri.

E per quanto certi problemi sembrino ripetersi oggi con modalità molto simili, pare che l’attuale realtà delle scie chimiche sia nata per motivi molto diversi.

Secondo A.C. Griffith, [3]il noto “whistleblower” delle moderne scie chimiche, il progetto nacque sotto l’amministrazione Reagan (1980-88), e fu una operazione congiunta CIA-militari. Stiamo parlando – dice Griffith – di black-ops del massimo livello, cioè di quelle operazioni che sfuggono al controllo e alla conoscenza stessa del governo americano.

Le prime operazioni di aerosol vennero condotte da aerei della CIA, che volavano a quote relativamente basse (ca. 3.000 mt), e disperdevano nell’aria una miscela di sali di bario. Lo scopo sarebbe stato di rendere l’atmosfera più conduttiva, per facilitare le scansioni di un nuovo tipo di radar militare (di cui parleremo più dettagliatamente in seguito).

Dopo i primi esperimenti – si presume positivi - si decise di passare all’applicazione su larga scala, e divenne quindi necessario utilizzare gli stessi voli commerciali, sia per approfittare della loro già familiare presenza nel cielo, sia per nascondere dietro a questa presenza i veri motivi delle irrorazioni. Ecco da dove nacque la famosa spiegazione “sono solo scie di condensa”, che continua ancora oggi a rassicurare i più tonti e creduloni.

Il progetto che avrebbe coinvolto gli aerei commerciali si chiamava Cloverleaf, e fu classificato ai livelli di massima segretezza militare. Questo significa che le operazioni erano tutte altamente compartimentate, e che le informazioni venivano condivise solo in base al principio del “need to know” [4].

Una conferma della segretezza e dell’importanza del progetto Cloverleaf sta nella lettera ricevuta nell’anno 2000 da Clifford Carnicom (uno dei maggiori ricercatori sulle schie chimiche) da parte di un manager di una compagnia aerea americana, che per ovvii motivi volle restare anonimo.

Nella lettera questo manager non solo confermava i sospetti già espressi, in modo altrettanto anonimo, da un meccanico della sua compagnia, che aveva osservato l’installazione dei diffusori di aerosol sugli aerei commerciali, ma rivelava che i pochissimi dirigenti delle aerolinee che erano stati messi al corrente del progetto Cloverleaf erano stati assoggettati al segreto militare, con il rischio di finire in prigione se ne avessero parlato con chiunque. Il progetto Cloverleaf – spiega il manager nella lettera – prevedeva che il governo pagasse le compagnie aeree per compiere le operazioni di aerosol, e quando i dirigenti delle aerolinee chiesero a cosa servissero queste operazioni, gli fu risposto che erano informazioni secretate, della massima importanza, ma che si trattava comunque di composti assolutamente innocui per la popolazione.

Da quel giorno in poi – spiega Griffith – nessuno sarebbe più stato in grado di sapere cosa veniva messo davvero nei serbatoi degli aerei destinati alle irrorazioni, a partire dai piloti stessi.

Contemporaneamente, ai parlamentari di Washington e ai governatori dei vari stati veniva consigliato di non impicciarsi in questa faccenda, mentre la stessa cosa veniva detta senza mezzi termini alla EPA (l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente).

Ecco spiegate le ragioni per quel famoso “muro di gomma” contro il quale sono andati a sbattere sistematicamente tutti coloro che hanno provato a chiedere chiarimenti sulle scie chimiche a qualunque ente governativo.

Nel suo documentario “Aerosol Crimes”, Carnicom mostra diversi esempi di lettere mandate alla EPA, con tanto di prelievi chimici sospetti, e relativa richiesta di analisi, nei quali la EPA ha semplicemente risposto di “non essere al corrente di programmi governativi di irrorazione aerea”.

Cioè, io ti mando un barattolo pieno di schifezze cadute dal cielo, e tu – ente preposto alla protezione ambientale - mi rispondi che non le vuoi analizzare perchè “non ti risulta che ci sia qualcuno che le ha fatte cadere”? (Sarebbe come presentarsi dalla polizia con tre pallottole nello stomaco, chiedendo di arrestare chi ti ha sparato, per sentirsi rispondere che “non ci risulta che ci sia gente che usi armi da fuoco”).

E’ proprio di fronte a questi paradossi che si riesce ad intuire quale possa essere il livello di segretezza imposto al progetto di aerosol da parte di CIA e Pentagono.

A questo punto diventa anche più facile capire come, una volta estese le operazioni di aerosol ad altre nazioni nel mondo – compreso purtroppo la nostra - anche i rispettivi governi, che agiscono quasi sempre in condizioni di sudditanza verso gli Stati Uniti, si siano trovati nello stesso imbarazzo nel dover negare un fenomeno che appare evidente ormai a chiunque.

E’ perfettamente inutile chiedere ai nostri “rappresentanti eletti” di fare interrogazioni parlamentari sulle scie chimiche, quando probabilmente gli stessi ministri della difesa a cui dovrebbero rivolgersi non sanno nemmeno bene cosa siamo obbligati a disseminare nel cielo, per conto dei nostri padroni americani.

Se il criterio principale rimane il “need to know” – come è presumibile - di certo i nostri governanti-burattini non debbono saperne nulla. Anzi, meno sanno e meglio è, vista la ben nota propensione dei nostri politicanti a spifferare i segreti altrui.

Ma torniamo ai veri motivi che avrebbero fatto nascere il moderno progetto delle scie chimiche, sempre secondo le rivelazioni di Griffith.

FINE PRIMA PARTE

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SECONDA PARTE

Il progetto VTRPE


Nei primi anni ’90 il Pentagono mise in cantiere un progetto chiamato VTRPE (Variable Terrain Radio Parabolic Equation), che era un sotto-programma del sistema RFMP (Radio Frequency Mission Planner) utilizzato dalla US Navy (che comprende anche l’aviazione militare). Si tratta in pratica di un sistema computerizzato che permette agli operatori di visualizzare un qualunque terreno di battaglia in 3 dimensioni. “Una volta – dice Griffith – per fare la guerra si mandavano al fronte dei soldati e gli si diceva di uccidere più nemici possibile. Oggi le guerre si fanno col computer, da casa propria, uccidendo persone e distruggendo strutture che stanno a decine di migliaia di chilometri di distanza”.

Griffith conferma che il sistema VTRPE è stato utilizzato nella recente guerra in Iraq, e continua ad essere utilizzato oggi in Afghanistan.

Inizialmente il VTRPE, che funziona sulle frequenze radar, venne collaudato con successo in mare aperto, ma una volta passati ai test sulla terraferma iniziarono a presentarsi dei problemi. La precisione del sistema infatti dipendeva fortemente dal livello di conduttività dell’aria, il quale a sua volta è influenzato da diverse variabili come umidità, temperatura e pressione atmosferica.

Nel documento intitolato “An Atmospheric Sensitivity and Validation Study of the Variable Terrain Radio Parabolic Equation Model (VTRPE)”, pubblicato dal Pentagono nel 1997, leggiamo: “Il modello computerizzato VTRPE è un potente e flessibile programma che elabora calcoli sulle condizioni di propagazione delle onde radar nell’atmosfera. Il limite del sistema sta però nella precisione e nel livello di risoluzione dei dati in entrata. Questa ricerca valuta la sensibilità del sistema VTRPE rispetto ai parametri atmosferici che vengono immessi.”

In sintesi, diceva il documento, gli esperimenti effettuati rivelavano che il margine di errore nella corretta visualizzazione del terreno aumentava con l’aumentare dell’umidità.

Nacque così l’idea di provare ad irrorare il cielo con miscele di sali di bario e di alluminio. In ambedue i casi infatti il sale aumenta la capacità igroscopica dell’atmosfera (cioè “asciuga” letteralmente l’aria umida), mentre il particolato di metallo la rende più conduttiva.

E così, mentre i militari erano tutti felici di vedere bene il loro “terreno di battaglia”, la gente cominciava a risentire sulla propria salute delle conseguenze di questi esperimenti.

Uno dei primi casi storici fu quello della cittadina di Espanola, in Canada, e risale al 1999. Dopo che gli abitanti locali ebbero osservato strane operazioni sui cieli della loro città, una cinquantina di loro accusarono improvvisamente gravi disturbi di tipo respiratorio. Nel suo documentario “Chemtrails: Mystery Lines In The Sky”, il giornalista canadese Will Thomas mostra come le analisi condotte sui prelievi fatti ad Espaniola rilevassero la presenza di particelle di alluminio di 5 volte superiore al limite di sicurezza stabilito dagli enti sanitari.

550 cittadini di Espanola firmarono una petizione governativa[5] per richiedere lo stop immediato delle operazioni di aerosol, ma il governo canadese rispose laconicamente: “Non siamo stati noi”.


Volendo, le dimensioni del problema, e la sua stessa origine, si potevano dedurre già da allora.

Ma ormai il giocattolo era fuori dalla scatola, funzionava egregiamente, e da quel giorno nessuno avrebbe più potuto toglierlo dalle mani dei militari e dei loro compagni di merenda della chimica industriale.

Nemmeno Eisenhower, quando mise in guardia il mondo dai potenziali pericoli del “complesso militare-industriale”, avrebbe potuto immaginare uno sviluppo così malefico e devastante di questa diabolica alleanza.

ENTRA IN SCENA LA DARPA

Uno dei primi a fare il collegamento fu il ricercatore Clifford Carnicom, che nel settembre 2000 scriveva: “Sembra che i composti trovati nelle irrorazioni aeree siano a base di sali di bario. Diversi tipi di fibre di polimeri vengono anche osservate nei campioni prelevati dalle zone irrorate. La ricerca e lo sviluppo sulle fibre di polimeri elettro-attive risultano anche nella documentazione della DARPA”.

La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) sarebbe il “laboratorio sperimentale” del Pentagono, ed ha ovviamente collegamenti diretti – spesso segreti – con tutte le più grosse società americane che producono armamenti ed altri servizi di tipo bellico.

L’agenzia federale DARPA fu creata nel 1958, dopo lo “spavento” provato dagli americani nel vedersi sorvolare impunemente il cielo dallo Sputnik sovietico. Lo scopo originale della DARPA, puramente difensivo, era di “prevenire altre sorprese tecnologiche di tipo militare come quella dello Sputnik”. Ma come sappiamo, quando ci sono di mezzo i militari, dal “prevenire” al “proporre” il passo è molto breve.

Se infatti date un’occhiata al sito attuale della DARPA, vedrete che lo slogan è diventato “Creare e prevedere sorprese strategiche”, dove il “creare” precede addirittura il “prevedere”.

Con finanziamenti praticamente illimitati, con la direttiva di “esplorare tecnologie innovative e imprevedibili”, con la garanzia che “anche i fallimenti qui sono considerati come un passo avanti”, e con restrizioni minime al momento di “reclutare” i loro ricercatori, entro la fine degli anni ’80 la DARPA era diventata un vero e proprio calderone di “scienziati pazzi” che sfornavano in continuazione progetti bellici di ogni tipo, dai più ridicoli ed inutili ai più ambiziosi e terrificanti.

Solo per citarne alcuni ricordiamo il progetto di un “trasportatore umano di carichi”, una specie di robot antropomorfico in grado di marciare accanto ai soldati per lunghe ore, trasportando fino a 200 Kg. di carico, realizzato dalla Lockeed-Martin. (Evidentemente qualche rimasuglio di razzismo deve aver influenzato la mente di chi ha pensato di inventare lo “schiavo meccanico” per farsi portare la valigia). Oppure il progetto per i sottomarini senza uomini a bordo, le armi a raggio laser per abbattere gli aerei nemici, un mezzo corazzato in grado di viaggiare sul terreno ma anche di volare per brevi tratti, dozzine di progetti di strategia militare computerizzata di ogni tipo, portata e dimensione.

Oppure – e qui scatta la congiunzione più terrificante – lo sviluppo di armi per la guerra batteriologica.

ARMI BIOLOGICHE

Non sarà un caso che a partire dal 1998 Carnicom ha cominciato a raccogliere, analizzare e catalogare i prelievi di strani composti chimici che gli giungevano dalle località in cui si erano verificate attività anomale di irrorazione dei cieli. Sul suo sito si possono trovare immagini di strani filamenti, composti gelatinosi, composti fibrosi , batuffoli misteriosi, poltiglie appiccicose, insomma, di tutto e di più.

Nello stesso anno in Inghilterra si verificava una improvvisa impennata per le morti da “influenza”, che mieteva oltre 8.000 vittime in 3 settimane, soprattutto fra gli anziani. Le autorità inglesi dovettero ricorrere ai camioncini da trasporto refrigerati (quelli che distribuiscono i surgelati), per conservare i cadaveri in attesa del rito funebre, perchè le morgues dei vari ospedali erano piene fino al limite.

Nell’inverno del ’99 il problema si ripeteva. Di fronte al nuovo picco di mortalità “per influenza”, nel gennaio 2000 il Telegraph scriveva: “In una macabra ripetizione delle scene verificatesi davanti agli ospedali l’anno scorso, il Servizio Nazionale di Sanità ha dovuto nuovamente ricorrere ai furgoni refrigerati come morgues provvisorie”.

Il documentarista Paul Grignon pubblicava un video, intitolato “Eye Witness”, nel quale mostrava di aver filmato delle scie chimiche proprio sul cielo di Londra, nel settembre del ’99, senza nemmeno accorgersene. (Solo dopo aver sentito parlare di scie chimiche aveva iniziato a guardare il cielo in modo diverso, e nel rivedere i propri filmati si era accorto della loro presenza).

Questo episodio aiuta anche a capire perchè all’inizio molta gente restasse indifferente di fronte alle prime denunce contro le scie chimiche che iniziavano ad apparire internet: per chi getta un’occhiata veloce in cielo tutto appare normale, anche se sta osservando una scia persistente e non una normale scia di condensa.

Nel 2000 cominciarono ad arrivare indicazioni che gli esperimenti di irrorazione si stavano espandendo rapidamente in tutto il mondo. Nel 2000 i giornali del Sud Africa segnalarono la caduta dal cielo di strani materiali simili a fili di cotone appiccicosi – altri li comparavano a “tele di ragno” - che avevano coperto il terreno e la vegetazione della cittadina di Karoo, dopo il ripetuto passaggio di aerei su quella zona.

Nel 2001 Will Thomas denunciava il primo articolo sui mainstream media, pubblicato da USA-Today, che “bollava” ufficialmente chi denunciava il fenomeno delle scie chimiche come “complottista”.

Il grande cover-up era iniziato.

Nel frattempo Carnicom, nelle sue analisi al microscopio, cominciava anche a trovare tracce di globuli rossi e globuli bianchi, e di altri composti di tipo biologico.

Già nel 1994 si era verificato un caso di sospetto inquinamento biologico: durante il mese di agosto gli abitanti di Oakville, nello stato di Washington (vicino al Canada, sul Pacifico), videro cadere dal cielo una strana materia appiccicosa, che si depositò dappertutto, e rimase visibile anche dopo che la pioggia era finita. Diversi cittadini che erano entrati in contatto con questo strano composto accusarono disturbi di vario tipo, dai giramenti di testa ad infezioni improvvise, dalla fatica di respirare a violenti conati di vomito. Questa strana materia appiccicosa, che fu soprannominata dai giornali locali ”the blob”, cadde sulla cittadina di Oakville per ben sei volte nell’arco di tre settimane. Una volta analizzata in laboratorio, rivelò di contenere cellule di tipo animale, ed in particolare globuli bianchi. Obbligati a spiegare la presenza fra le nuvole di composti organici, le autorità locali spiegarono che: “I militari hanno fatto delle esercitazioni al largo della costa, e probabilmente hanno bombardato dei grandi branchi di meduse, facendone volare i frammenti organici fino alle alte quote. Il vento poi avrebbe fatto il resto”. (Siccome il fenomeno si ripetè per sei volte, nell’arco di tre settimane, vuol dire che avevano inventato la medusa antigravitazionale). Insomma, di fronte a questa pagliacciata la spiegazione di Shanksville sembra addirittura un trattato scientifico.

Il filone di tipo biologico-batteriologico sembra costituire un discorso a sè stante, all’interno della vicenda delle scie chimiche, che rappresenta l’aspetto più pericoloso e potenzialmente devastante, in quanto ci riguarda tutti molto da vicino.

FINE SECONDA PARTE

Massimo Mazzucco

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